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Illusioni perdute

15 Dicembre , 2021

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Movie Story

giovedì 27 ore 17.00 (vers. it) – 21.10 (vers. orig. sott.)
venerdì 28 ore 18.45
martedì 1 ore 17.00 – 21.10
mercoledì 2 ore 18.45

Regia di Xavier Giannoli, con Benjamin Voisin, Cécile De France, Vincent Lacoste, Xavier Dolan, Salomé Dewaels. Titolo originale: Illusions Perdues. Genere Drammatico, – Francia, 2021, durata 144 minuti. Uscita cinema giovedì 30 dicembre 2021

Lucien Chardon, de Rubempré da parte di madre, si sogna scrittore nella campagna di Angoulême. A incoraggiare i suoi versi e la sua ambizione è Madame de Bargeton, sposata a un uomo molto ricco e troppo vecchio per lei. Lui scrive poesie per elle, lei è sedotta dalla poesia. Lo scandalo provocato dalla loro relazione, lo spinge a lasciare la provincia per Parigi e la fama letteraria. Ma la capitale non fa sconti a Lucien, che passa dalle braccia di Madame de Bargeton a quelle di Coralie, attrice plebea a cui si consacra. A cambiargli la vita sarà l’incontro con Étienne Lousteau, redattore corrotto e corruttore di una piccola gazzetta di successo, che lo inizia al mestiere: fare il bello e il cattivo tempo sul mondo del teatro e dell’editoria. Fresco nel suo stupore, Lucien impara presto ‘la commedia umana’ e supera il maestro in perfidia. A colpi di penna abbatte l’aristocrazia che lo ha rifiutato e gli nega il titolo nobiliare che vorrebbe dannatamente riprendersi. A sue spese imparerà che tutto si compra e tutto si vende, la letteratura come la stampa, la politica come i sentimenti, la reputazione come l’anima.

Ogni generazione ha le sue illusioni perdute. Xavier Giannoli ha messo in scena le sue, facendo esplodere sullo schermo l’incredibile modernità di un classico.

Opera capitale dentro un’opera monumentale, “Illusioni perdute” è il vertice e il cuore battente de “La Commedia umana”, manifesto balzachiano per eccellenza. Giannoli si è gettato sul romanzo di Honoré de Balzac come ci si getta sul ring, con la volontà di combattere, di sperimentare e di comprendere cosa ne è dell’ambizione nella Francia divisa tra la provincia e Parigi, sedotta dal successo e dal denaro. Cosa ne è della stampa oggi con la moltiplicazione dei titoli e dei supporti, l’invenzione di format e di rubriche, la diversificazione dei lettori potenziali. Perché non c’è rivoluzione senza crisi e perché certe rivoluzioni ‘ritornano’ ai fondamentali della stampa: il giornalismo partecipativo, il dialogismo, la conversazione, lo spazio social, il romanzo sociale.

Due secoli dopo, l’opera mostro di Balzac parla della nostra epoca. La Francia del 1820, che cercava di dimenticare la Rivoluzione e le guerre imperiali riempiendo i teatri, dialoga con quella contemporanea. Le parole di Balzac raccontano di oligarchie finanziarie, di compromessi tra politica e stampa, di banchieri al governo…

Classico nella forma, moderno sul fondo, Illusions perdues è abitato da un cast solido. Benjamin Voisin, Cécile de France, Vincent Lacoste, Xavier Dolan, Salomé Dewaels, Jeanne Balibar, Gérard Depardieu, André Marcon, Louis-Do de Lencquesaing, Jean-Francois Stévenin donano al film lo slancio di un racconto accessibile a tutti. Fuori intanto Parigi brucia quello che non incensa, secondo l’umore del momento e con la complicità della stampa.

Sappiamo tutto il male che Balzac pensava dei giornali. Maltrattato da gens de sac e di piuma, raccolta in piccoli cenacoli ciarlieri e rivali che pubblicavano fogli effimeri e sovente ricattatori, lo scrittore aveva riservato a questa nascente corporazione un risentimento profondo. Non sorprende che l’acredine di Balzac faccia ancora centro, riattivando la sfiducia sempre attuale nella stampa.

Ma Balzac è altrimenti la più fiammante incarnazione dello scrittore-giornalista, della tensione della parola tra scrittura periodica, dentro al flusso dell’attualità, e volontà di creare un’opera finzionale che resista al tempo e passi alla Storia. Una contraddizione che l’autore francese mutò in ricchezza.

Balzac non si accontentò mai di essere un volgare “mercante di frasi”, accompagnando le mutazioni dell’insorgente era mediatica, partecipando alla rivoluzione del romanzo d’appendice e dirigendo due giornali. Si spiega così l’empatia per Lousteau, piccola star dei media, specializzata nelle bons mots e nelle formule che uccidono, o per Dauriat, editore senza cultura che non legge, non scrive ma sa far di conto. Balzac non era certo un polemista, dietro al sarcasmo o al gusto della battuta, le sue pagine creano mondi ossessionati dal fantastico sociale e dall’alchimia delle relazioni umane. Da quella palude di fango, sangue e brame emerge personaggi come Étienne Lousteau, diavoli immorali e irresistibili.

Giannoli, da par suo, non è populista. Il giornalismo critico (“Il giornale considera vero tutto quello che è probabile”), al suo debutto nel XIX secolo, non si fai mai argomento demagogico ma rivelatore di una meccanica essenziale nell’ascesa e poi nella caduta di Lucien. Il Lucien febbrile di Benjamin Voisin è un ragazzo del nostro secolo che cerca il suo posto nel mondo, vuole avere successo e si domanda come soddisfare la sua ambizione senza compromettersi.

Giannoli sembra scartare le allusioni troppo datate a favore di un crinale che leghi passato e presente, denaro e potere, lealtà e tradimento. Il volto bello e levigato del suo eroe, che naviga a vista tra aristocrazia e circoli artistici, si sgualcisce progressivamente, il candore si sporca lungo i marciapiedi fangosi della capitale. In una scena all’Opera, Giannoli (di)mostra come si può essere brillanti in provincia ma insignificanti a Parigi, dove la strada per pubblicare un libro volge in via crucis. Per riuscire e far progredire il sogno, bisogna essere acrobati, destreggiarsi tra gli interessi delle parti. La regola del gioco è crudele, l’illusione mortale.

Lucien è costantemente preso in trappola, senza cinismo e nemmeno romanticismo da parte di Giannoli, che filma sempre alla giusta distanza, lasciando che quattro generazioni di attori francesi si confrontino sullo schermo e intorno a un apprendistato letterario. Formidabilmente efficaci, accompagnano e provocano Benjamin Voisin. ‘Debuttante’ come il suo personaggio, conosce ancora poco le cose del mondo. Ventidue anni, faccia d’angelo, tutto jeu e fiamme, è una primavera che si scontra contro i mille inverni di Depardieu (Dauriat), è il cinema francese di domani che inciampa sul carisma indolente e scaltro di Lacoste (Étienne Lousteau), soltanto un poco più grande ma già ‘grande’.

Primizia inquieta, Voisin attraversa il film in stato di allerta mentre attorno esplode una sarabanda chiassosa, una coreografia di iniziazione convulsa e abbagliante che i compagni di gioco spingono all’acme. Battezzati a suon di Champagne, personaggio e attore comprendono presto che il loro mestiere non è una prova di velocità ma una gara di resistenza. E raramente si vince. Coralie, l’attrice pop che sognava Racine, riceverà uova marce, Lucien, che ha scommesso i suoi ultimi franchi sul successo dell’amata, perderà tutto.

Gettato nella fossa dei ‘giornalisti’, Lucien Chardon è al centro di un processo tragico di disillusione e di un romanzo di formazione in cui non apprende niente, votato com’è alle emozioni. Giannoli adatta il ‘primo romanzo totale’ e disegna un affresco sociale dominato dalla parabola dell’enfant perdu: un angelo caduto dalla seduzione inalterabile, una preda facile nel ventre di Parigi. Lucien non sarà mai Rastignac e nemmeno il suo creatore, grand homme della provincia a Parigi che fece del borghese Honoré Balssa (originario di Tours) Honoré de Balzac. Così va la commedia umana, nel suo splendore e nella sua miseria. (Marzia Gandolfi, mymovies.it)