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Tramonto

23 Gennaio , 2019

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Movie Story

Budapest, 1913. L’Europa austroungarica è all’apice del progresso e dello sviluppo tecnologico. La giovane Irisz Leiter, tornata nella capitale ungherese dopo gli anni spesi a Trieste a studiare come modista, vorrebbe lavorare nella leggendaria cappelleria dei suoi defunti genitori. Ha il nome e le abilità per farlo, ma il nuovo proprietario, il signor Brill, la respinge. Sono attesi ospiti reali e non vuole problemi. Irisz, però, non se ne va, specie dopo aver scoperto l’esistenza di un fratello, Kálmán, che vive nascosto per essere stato protagonista di un oscuro delitto. La ricerca di Kálmán la conduce nel cuore di tenebra di una civiltà sull’orlo della propria rovina.
Dagli inferi del campo di concentramento agli stucchi, i nastri, le perle e gli specchi della più raffinata eleganza mitteleuropea. Ma “dietro la bellezza di quei cappelli, si cela l’orrore del mondo”, la vigilia della sanguinosissima prima guerra mondiale.

László Nemes, per il suo secondo e atteso lungometraggio, dopo il pluripremiato Il figlio di Saul, s’interroga sul suicidio dell’Europa all’inizio del secolo scorso, in un’epoca, quella odierna, di altrettanto pericolose tensioni, nemmeno così sotterranee. Non ha una risposta, dunque l’indagine avrà per strumento la macchina da presa, per soggetto la protagonista, per genere il mistery.

Il lavoro di Nemes ha un respiro romanzesco (non a caso Irisz Leiter è una giovane orfana) e un’impostazione visiva potente, cui si combina una regia virtuosa. Lo stile di Sunset non soltanto conferma ma replica quello del primo film: la scelta immersiva, il percorso labirintico, l’evocazione di un mondo che è tanto più efficace quanto più questo mondo viene celato alla vista, nascosto da pesanti tendaggi o dal buio complice della notte. E poi il lavoro sul sonoro: ricercato, esibito. Ma è un attimo che la virtù scolori nel virtuosismo. E Sunset, per quanto visivamente affascinante, non è esente da vizi e problematiche di questo tipo.
Se da una parte, infatti, lo stile di regia è giustificato dagli elementi di mistero del racconto, dall’altra parte accomuna strettamente questo secondo film al primo, finendo per mettere (letteralmente) sotto la stessa luce due orrori non comparabili. I fuochi delle fiaccole di Kálmán e compagni e quelli delle fornaci naziste non dovrebbero essere trattati allo stesso modo, non con i tratti pretenziosi e il gusto per lo spettacolo che l’opera seconda lascia trapelare, dietro la denuncia del marcio e della carneficina industriale a venire.

Come fanno i dialoghi, interamente fatti di domande che ricevono sempre e soltanto risposte evasive, il film nel suo complesso svicola abilmente, mascherando debolezze e ambiguità dietro uno stile raffinato e illusionista. (Marianna Cappi, mymovies.it)