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L’angelo del crimine

22 Maggio , 2019

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Movie Story

 

Regia di Luis Ortega. Un film con Lorenzo Ferro, Chino Darín, Mercedes Morán, Daniel Fanego, Luis Gnecco. Titolo originale: El angel. Genere Biografico, Drammatico – Argentina, Spagna, 2018, durata 119 minuti

Buenos Aires, 1971. Giovane, spavaldo, coi riccioli biondi e la faccia d’angelo, Carlos entra nelle case della gente ricca e ruba tutto ciò che gli piace. L’incontro a scuola con Ramón, coetaneo dal quale è attratto, segna il suo ingresso in una banda di criminali, con la quale compie altri furti e soprattutto il suo primo omicidio, di fronte al quale rimane assolutamente impassibile. Fino alla morte dell’amato Ramón e oltre, Carlos proseguirà indisturbato le sue attività criminali, uccidendo ancora e talvolta facendo ritorno dai genitori come un figlio qualsiasi. Verrà arrestato dopo un colpo andato a male e l’assassinio di un complice.
El Angel racconta la storia vera di Carlos Robledo Puch, “el Ángel de la Muerte”, il più famoso serial killer argentino, arrestato nel 1972 dopo aver ucciso almeno 11 persone. La follia di un ragazzo raccontata come la tragedia grottesca di una nazione.

Nel caso di Robledo Puch le ragioni del fascino che la figura del serial killer da sempre esercita sono di natura puramente estetica: Carlos era bello, biondo, pulito, nulla nel suo aspetto faceva sospettare l’indifferenza dell’omicida e dello stupratore.

È proprio questo contrasto fra l’anima e il corpo a generare il cortocircuito visivo su cui il film di Luis Ortega – largamente ispirato ma non fedelissimo alla storia di Puch – costruisce il suo racconto. Prodotto fra gli altri dai fratelli Almodóvar, El Ángel ha nei colori accesi, nel tono surreale e quasi grottesco, la paradossale leggerezza dei film del regista spagnolo, naturalmente in contrasto con la tragicità dei fatti raccontati. La cura delle immagini e la spettacolarizzazione della vicenda (tra dialoghi ammiccanti, sguardi lascivi, aperture liriche…) sono il riverbero e il riflesso della strafottenza di Carlos, l’effetto del suo fascino di bugiardo, manipolatore e assassino, mentre l’uso di canzoni pop in colonna sonora, con le versioni argentine di ‘Non ho l’età’ e ‘The House of the Rising Sun’ (rifatta dal padre del regista, il cantante Palito Ortega), oltre a rimandare all’immancabile Scorsese e alla sua estetica impazzita, sottolineano più alla maniera del Tony Manero di Larraín l’immaturità, non solo di Carlos e dei suoi complici, ma di un intero popolo.
La vicenda di Putch ha dunque un evidente, per quanto camuffato, sottotesto politico, è la tragedia inconsapevole di un popolo che già nel ’71, prima ancora della dittatura militare, sotto il presidente di fatto Alejandro Agustín Lanusse barattava la democrazia con l’esigenza di apparente controllo e ordine sociale. In questo senso, El Ángel è il film gemello di Il Clan di Trapero, ricostruzione della storia della famiglia Puccio – banda di sequestratori protetti anch’essi dall’aspetto di rispettabili cittadini – poi raccontate dallo stesso Ortega nella serie tv Historia de un clan. Entrambi rappresentano nel bene e nel male, fra esigenze commerciali e desiderio d’indagine, il tentativo di fare i conti col passato dell’Argentina, accantonando discorsi politici espliciti e scegliendo piuttosto la via del paradosso.

Il rischio è naturalmente la superficialità, l’attenzione alla forma che sfiora soltanto la complessità dei personaggi e del loro momento storico: dal legame fra l’omosessualità di Carlos e i suoi omicidi, alla distrazione della polizia occupata a cercare terroristi, fino alla ricerca di un barlume di umanità nella follia, come quando nel finale Carlos piange per la prima e unica volta…

Nonostante le oltre due ore di durata, nella sua biografia del più famoso omicida argentino di sempre (che è oggi è il prigioniero più longevo nelle carceri del paese), Ortega sceglie di non andare a fondo: affronta il rimosso di una nazione, ma resta alla pura e ingannevole apparenza, affascinato come tutti dalla bellezza di Carlos (perfettamente rifatto dall’esordiente Lorenzo Ferro) e convinto che basti la sua faccia da schiaffi a raccontare l’inizio della storia più nera della moderna Argentina. (Roberto Manassero, mymovies.it)