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I figli del fiume giallo

23 Aprile , 2019

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Movie Story

Regia di Jia Zhangke, con Zhao Tao, Liao Fan, Yinan Diao, Feng Xiaogang, Casper Liang, Zheng Xu. Titolo internazionale: Ash is Purest White. Genere Drammatico – Cina, Francia, Giappone, 2018, durata 150 minuti. Uscita cinema giovedì 9 maggio 2019 distribuito da Cinema

Datong, 2001. Qiao e Bin gestiscono una bisca, finché un agguato attenta alla vita di Bin. Per salvarlo Qiao spara in aria e viene arrestata. Uscirà di prigione cinque anni dopo, ma Bin ha cambiato vita a Fengjie e non vuole più vederla.

“Nel cinema di Jia Zhang-ke l’elemento ricorsivo-riflessivo ha guadagnato sempre maggiore importanza, fino a un film in cui è possibile leggere in tralice l’intero suo percorso di cineasta, come I figli del fiume giallo.

Tre segmenti ambientati in tre anni (2001, 2006 e 2018) e in due luoghi (Datong nello Shanxi e Fengjie nella regione di Chongqing e delle Tre Gole), che rappresentano altrettanti rimandi a momenti precedenti della filmografia di Jia. Al 2001 di Unknown Pleasures – ambientato a Datong – segue il 2006 di Still Life – ambientato a Fengjie – con situazioni e personaggi che ritornano sotto vesti solo lievemente differenti.

Ma I figli del fiume giallo non si limita a una semplice riproposizioni di tempi e luoghi, è come se rivisitasse quelle opere e quelle sensazioni, forse – ma non è dato sapersi con certezza – recuperando anche del girato inedito. Anche dal punto di vista tecnico e stilistico, infatti, il regista alterna pellicola e digitale, dando la sensazione anche visiva di attraversare l’arco temporale della narrazione. La peregrinazione di Qiao nel segmento centrale di Fengjie ricorda da vicino il percorso della stessa interprete – sempre Zhao Tao, musa e moglie del regista – in Still Life, oggi come allora in cerca di un uomo che non si presenta a un appuntamento. Come se I figli del fiume giallo rappresentasse una raccolta di “non detti”, il completamento di fili mai riannodati in passato. Un arco temporale di 17 anni in cui sono cambiati irreversibilmente la Cina, il cinema, Jia e la sua musa: e di cui il film diviene una sorta di testimonianza, benché fittizia, romanzata e alterata nel contenuto, che traspone il tutto in una vicenda di jianghu, come da titolo originale (che traslitterato significa Jianghu Er Nv, “Figli e figlie del jianghu”).

Il codice d’onore e il senso di fratellanza che, semplificando, costituiscono il significato più prossimo di jianghu – termine mutuato dalle arti marziali e trasferito al sottobosco criminale delle Triadi cinesi – innervano la relazione di dominio e possesso che unisce e divide Bin e Qiao. Conosciamo i due uniti indissolubilmente in un primo segmento, che richiama con parossistica evidenza il cinema noir di Hong Kong: le immagini e le canzoni che caratterizzavano i film con Chow Yun-fat di fine anni Ottanta fanno da sfondo a storie di mahjong, lame e denaro, che culminano in una straordinaria sequenza di agguato in una strada affollata.

La separazione dei due amanti si traduce in una biforcazione di senso e di stili del film, che muta pelle come il paesaggio cinese che fa da sfondo alla vicenda. Le parole ormai vuote di un padre che si scaglia contro le “tigri di carta” hanno ormai lasciato spazio all’incedere del capitalismo di Stato, quello che costruisce dighe e che viola la natura umana, mettendola al servizio del denaro e dell’ambizione. Qiao non è un’idealista, ma crede in valori che non appassiscono. Il jianghu, per lei, continua ad avere un senso, fino a un parossistico terzo segmento, in cui attraverso l’incursione dell’irrazionale – UFO, agopuntura – la donna sembra rimettere in scena il mondo che conosceva, le coordinate in cui si muoveva con agio. Ma la Datong che chiude il film assomiglia solamente alla Datong che lo apre. Tornare indietro rispetto agli errori commessi, da una donna o da una nazione, rimane un atto impossibile, velleitario. Fino a rivelare la sua inevitabile natura di finzione “digitale”.

Un’opera complessa e ricca di riferimenti interni alla propria poetica, che conferma la statura di un autore capace di leggere i mutamenti della contemporaneità in un Paese che procede a una velocità pari a quella dei suoi treni, quando attraversano senza ritorno le lande desertiche dello Xinjiang.” (Emanuele Sacchi, mymovies.it)